Notti da leoni – Chobe N.P.

Arrivati al camp troviamo le tende pronte, disposte a semicerchio intorno al tavolo e con le docce cariche di acqua calda, come ogni sera da quando abbiamo iniziato il safari. Siamo nel bush del Botswana, circondati da buio e dai versi degli animali. Lo spettacolo offerto dal numero infinito di stelle che risplendono sopra le nostre teste non ci fa rimpiangere nemmeno per un istante il lusso del più stellato lodge di tutta l’Africa australe.
A una ventina di metri da noi, in direzione del fiume Chobe, si alzano i vapori della cucina che ogni sera ci sorprende con piatti sempre diversi e preparati con cura maniacale. Viaggiamo in totale autosufficienza da sei giorni, lontani dalla “civiltà”, senza appoggiarci a strutture e in zone dove non è possibile fare scorte alimentari, situazione che rende ancor più straordinaria l’organizzazione.
Terminata la doccia l’appuntamento è intorno al fuoco, dove le seggiole sono già pronte e le guide aspettano gli ospiti per intrattenerli con le storie più singolari dei loro passati avvistamenti.
Poi arriva la cuoca che dà il benvenuto a tutti e presenta il menù aiutata dalla traduzione del sottoscritto. La cena è accompagnata dal sottofondo dei rami spezzati dagli elefanti che “pascolano” nei dintorni, dagli ormai famigliari guaiti delle iene e da qualche ruggito dei leoni che, nonostante arrivi da chilometri di distanza, sembra sempre troppo vicino.
Come consuetudine, terminata la cena ci fermiamo a chiacchierare seduti al tavolo, tra un bicchiere di vino e gli entusiasmanti racconti dei viaggiatori che competono tra loro per eleggere chi ha visto il maggior numero di felini in Africa.
In quel frangente la mia guida si avvicina e mi rivolge uno sguardo famigliare, che mi riporta la memoria a una serata simile di qualche anno prima. Senza aprire bocca e senza farmi notare dai presenti, mi alzo e lo seguo. Raggiunta l’area cucina ci dirigiamo verso le tende dello staff. La luce della torcia penetra nella boscaglia fino a illuminare le pupille di tre leonesse giovani e un maschio dalla criniera appena abbozzata. Sono acquattati a una decina di metri dal camp, vicini a quelle tende che pochi istanti prima avevano annusato, attirati dal russare di Mox, una delle nostre guide che era andata riposare. I quattro felini sono immobili, distanziati tra loro di un patio di metri. Appaiono tranquilli e inoffensivi. Torniamo al tavolo e, con fare disinvolto, chiediamo se c’è qualcuno interessato a vedere dei leoni. Le reazioni sono molteplici, chi sogghigna, che guarda stupito, chi appare un po’ teso. Trascorrono alcuni istanti di silenzio, poi tutti gli sguardi si rivolgono verso me in cerca di spiegazioni. Confermo che non si tratta di uno scherzo, che abbiamo ospiti dietro la cucine a che se vogliono seguirmi possiamo andare a vederli. Non tutti credono che io stia parlando seriamente, ma mi seguono ugualmente. Anche le espressioni dei più scettici mutano alla vista dei quattro felini che ora si trovano a una quindicina di metri da noi. Qualcuno chiede se siamo al sicuro. Come in altre occasioni analoghe rispondo che è molto più pericoloso percorrere qualsiasi autostrada piuttosto che trovarsi di fronte a una “belva” africana, l’importante è conoscere l’atteggiamento da tenere. Restiamo immobili ad osservarli, provando una sensazione totalmente differente da quando alcune ore prima ci trovavamo comodamente seduti al sicuro sui 4×4. Ora nessuna specie è in vantaggio sull’altra, nessuno è invincibile, nessuno è preda e nessuno è predatore, siamo perfetti sconosciuti, con sguardi sfuggenti che talvolta si incrociano per qualche istante.
Torniamo in fila indiana verso il centro del camp, dove gli ospiti vengono accompagnati alla propria tenda. Poi io e le guide saliamo sui fuoristrada e ci dirigiamo verso i leoni per farli allontanare. La boscaglia è fitta, difficile da attraversare con i Land Cruiser, ma trovata la giusta direzione, e abbattuti alcuni monconi di acacia devastati in precedenza dal passaggio degli elefanti, riusciamo a cacciare via i quattro felini.
È raro che i leoni si avvicino così a un camp. Quando accade si tratta sempre di esemplari giovani e curiosi in fase esplorazione. Gli adulti sanno bene che un gruppo di esseri umani può solo rappresentare un fastidio per la loro caccia e per le loro normali attività. Mentre i cuccioli restano sempre insieme agli adulti, i giovani di tre / quattro anni iniziano ad allontanarsi dal branco per conoscere ciò che li circonda, incuriositi da tutto ciò che appare di fronte ai loro occhi.
Torniamo al camp dove i fuochi sono ancora accesi. Prima di rinchiudermi nella mia piccola tenda scatto qualche foto all’accampamento, approfittando della mancanza di presenza umana. Passano pochi minuti e nell’aria vibra il ruggito intimidatorio di due maschi adulti che delimitano il loro territorio. Si preannuncia così una nottata movimentata: i due maschi non si arrendono, facendo sentire la loro presenza fino all’alba.
La colazione è pronta e gli ospiti si ritrovano nuovamente intorno al tavolo. Qualcuno spezza il silenzio dicendo:” avete sentito quei due leoni questa notte?” La risposta arriva all’unisono da parte del gruppo:” chi è riuscito a dormire questa notte…???”. Sembrano tutti concordi sul fatto che la presenza dei leoni la sera precedente e il “concerto” notturno hanno tenuto tutti svegli. Difficilmente quella notte verrà dimenticata. Al pari degli avvistamenti e delle situazioni offerte dalla magnifica fauna africana, la notte nel bush, del Botswana, con i suoi rumori e i suoi misteri, resta una delle esperienze più emozionanti che il nostro pianeta possa offrire.

Il momento dello scatto

La notte del Botswana ha qualcosa di magico: potrei restare fuori dalla tenda fino all’alba a cercare di riconoscere i suoni che arrivano da ogni direzione.
Per regolamento dei parchi i fuochi nei camp devono essere spenti prima di andare a dormire per evitare il rischio di incendi. Qualcuno pensa che vengano lasciati accesi per tenere lontani i leoni, ma ciò accade solo nei film in quanto i leoni non sono intimoriti dal fuoco.
Quella sera, passando di fronte ai falò, rimasi attratto dalla luce che proiettavano verso le tende e verso gli alberi, sopra i quali splendevamo milioni di stelle. Mi diressi quindi verso il fuoristrada dove avevo lasciato la mia attrezzatura. Tra le macchine fotografiche che possiedo scelsi la Nikon D3s in quanto il suo sensore risulta essere il più performante alle alte sensibilità. Impostai i parametri applicando la regola del “cinquecento”, indispensabile per definire tempi e diaframmi per le riprese notturne ed evitare l’effetto mosso delle stelle dovuto al movimento della Terra. La regola determina i tempi di esposizione in relazione alla lunghezza focale dell’obiettivo (una maggiore lunghezza focale richiede tempi più rapidi e viceversa). Quindi il numero fisso cinquecento/lunghezza focale (nel mio caso avrei scattato con un obiettivo da 17 mm) = 29,4 secondi, approssimati a 30 secondi di tempo di esposizione. Regolai il diaframma quasi tutto aperto (f 3,5) e feci un paio di prove mantenendo la sensibilità del sensore più bassa possibile per ottenere un risultato di qualità. Impostata la messa a fuoco in modo manuale la regolai sul fondo scala dell’infinito per poi tornare indietro con la ghiera di qualche grado.
Immortalai così la magia di quella notte, di quei fuochi e di quelle stelle che per sempre porteranno il ricordo del ruggito vibrante di due inquieti leoni.

Dati tecnici

Corpo macchina: Nikon D3s
Obiettivo: Nikon 17/35 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 17mm
Apertura diaframma: F 3,5
Tempo otturatore: 30 sec.
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 3200
Flash: no
Modo di ripresa: M (manuale)

 

 

Viaggia con Davide Pianezze: www.fattoreulisse.com