Naadam, il giorno più importante per la Mongolia

Naadam significa semplicemente “festa” ed è l’evento più atteso dell’anno da tutti i mongoli. Nella capitale e nei capoluoghi si tiene rigorosamente l’11 e il 12 luglio. Nei villaggi più piccoli non esiste una data precisa, i partecipanti e gli organizzatori si limitano a rispettare le tradizioni di una terra senza tempo. Il primo giorno è solitamente dedicato alla lotta libera, poi il tiro con l’arco e infine la corsa con i cavalli. Sono competizioni ereditate da generazioni di antichi guerrieri che si sfidavano per esercitarsi e provare nuove strategie belliche.
Dopo un mese di viaggio, attraverso le steppe infinite del Paese di Gengis Khaan, sono arrivato a Bajan-Ôlgij, nell’estremo occidente della Mongolia. Qui cultura e tradizioni locali, originarie del vicino Kazakistan, si sono mescolate a lingua e usanze mongole. Per i prossimi giorni non dormirò più nelle gher, (tradizionali tende circolari mongole dall’arredamento piuttosto essenziale) ma in jurta ricche di morbidi tappeti e colorati adorni; il saluto non sarà più “sain baina uu” ma “Salam aleikum”; gli occhi della gente non saranno neri ma azzurri e i loro lineamenti molto più caucasici che orientali. Qui l’animale simbolo della regine non è il cavallo, come per il resto della Mongolia, ma l’aquila. Vengono catturate da giovani e gli viene insegnato a cacciare e a seguire il loro padrone. Vivranno uniti per circa otto anni, poi i rapaci riprenderanno a volare nei cieli della Mongolia e la Natura continuerà a fare il suo corso. Potranno così riprodursi e tornare ad essere il simbolo della libertà.
Nonostante le evidenti differenze culturali, tutti a Bajan-Ôlgij mostrano con orgoglio le loro radici mongole. Anche la principale festa nazionale è attesa da tutti con grande entusiasmo. Qui la data ufficiale di inizio dei giochi sarà rispettata in quanto la cittadina è il capoluogo della regione. I preparativi sono iniziati da una settimana e tutto sembra essere pronto. La mia guida parla curiosamente in francese e prima di farmi entrare nella sua tenda mi presenta l’intera famiglia. Ceniamo tutti allo stesso tavolo compresi i due bambini che non mi tolgono lo sguardo di dosso, probabilmente incuriositi dalla presenza di un estraneo. Di tanto in tanto, senza farmi notare dai padroni di casa, spalanco a mia volta gli occhi e li punto sui due piccoli che scoppiano a ridere e si nascondono.
Sono le 7:00 del mattino e siamo tutti pronti per dirigerci verso l’area dove si terranno le attività. La gente in strada cammina decisa per assicurarsi i posti migliori. I pastori, partiti la notte precedente, arrivano a cavallo scendendo dalla catena montuosa degli Altaij.
Invece di prendere posto sugli spalti, abbandono la “mia” famiglia e chiedo alla guida di seguirmi. Mi dirigo verso gli organizzatori, che individuo grazie al grosso megafono che uno di loro tiene tra le mani. Riesco così a presentare il mio progetto fotografico che prevede la documentazione dell’intero Paese nella speranza che mi venga data la possibilità di accedere direttamente al campo gara. È così che, senza bisogno di ulteriori trattative, vengo nominato unico fotografo ufficiale della manifestazione. Affiancato da un security guard, che dicono si prenderà cura di me, e un pass legato al collo, prendo la strada per il centro dell’arena. In cambio dovrò consegnare all’organizzazione un centinaio di foto della manifestazione.
Il programma del primo giorno prevede i combattimenti di lotta libera, lo sport più acclamato in Mongolia. Non esistono categorie, così durante le prime sezioni eliminatore si assiste a combattimenti dove energumeni alti due metri per centocinquanta chili di peso, vengono sfidati da esili ragazzini alla prima esperienza. Solitamente l’incontro dura non più di qualche secondo. Con la stessa delicatezza con la quale l’aquila insegna al suo piccolo a volare, l’energumeno porta a terra il giovane, decretando così la fine del match. Il vincitore gira poi intorno allo sfidante facendolo passare sotto le sue braccia che volteggiano alte simulando il volo dell’aquila. Non è un gesto di beffa nei confronti di chi è stato vinto ma di gioia e di protezione nei suoi confronti.
Il sole è ormai basso e i due finalisti sono pronti a scontrarsi per diventare gli eroi dell’anno. La tensione sale, tutto il pubblico è in piedi. Inizia l’ultima sfida. I due si studiano e si scambiano qualche timida manata sulle gambe per cercare il primo contatto. Inizia finalmente il combattimento, diretto da un attentissimo arbitro. Nei loro occhi traspare la concentrazione e la stanchezza accumulata dai tanti incontri vinti durante la giornata. L’arbitro interviene più volte per dividerli e ricominciare da capo. Poi uno dei due dà un segno di cedimento, il suo avversario ne approfitta e lo butta a terra tra le urla dei sostenitori. Per i prossimi 365 giorni sarà lui l’eroe di Bajan-Ôlgij. I due si avvicinano nuovamente, il vincitore rivolge il suo sguardo verso il cielo come segno di ringraziamento, poi allarga le braccia e le fa volteggiare. Per l’ultima volta il pubblico assista al rito dell’aquila e al suo messaggio di rispetto, protezione e libertà.

 

Il momento dello scatto

Dopo aver documentato i momenti più concitati dei combattimenti decisi di concentrarmi sui dettagli di ciò che mi circondava. Iniziai a muovermi anche tra il pubblico che mi guardava perplesso chiedendosi probabilmente per quale ragione fotografassi gli spettatori e non gli atleti. Poi raggiunsi nuovamente il campo gara, inseguito costantemente dal mio security guard che dovette correre per l’intera giornata. Dopo aver osservato i tanti soggetti che mi incuriosivano decisi di dedicarmi ai cappelli dei partecipanti. Li indossavano solo tra un combattimento e l’altro. Ognuno di loro aveva un allenatore a lato, vestito rigorosamente con eleganti abiti tradizionali, che offriva i suoi consigli e teneva il cappello dell’atleta durante gli incontri. Individuato il mio soggetto iniziai a girargli intorno a distanza ravvicinata in cerca del giusto sfondo. Aprii il diaframma per dare maggior importanza al cappello, all’abito blu e alla cintura arancione, sfocando quindi ciò che risultava essere più lontano. L’allenatore, concentrato sulle gesta del suo lottatore, non si accorse della mia vicinanza e ancor meno realizzò che il suo abito sarebbe finito sulla copertina di un libro fotografico dedicato alla Mongolia.

Dati tecnici

Data: 11 Luglio 2007
Corpo macchina: Nikon D2x
Obiettivo: Nikon 17/55 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 40 mm.
Apertura diaframma: F5,6
Tempo otturatore: 1/160
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 200
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)

 

Viaggia con Davide Pianezze: www.fattoreulisse.com