Tra i Huaorani, gli indios divisi dell’Amazzonia

Appese le amache ai tronchi che sorreggono il tetto della capanna ci prepariamo a trascorrere la notte. Gaba, il padrone di casa, è un anziano cacciatore di etnia Huaorani che abita da sempre sulle sponde del rio Schiripuno.
La sveglia arriva improvvisa e assordante dal canto di uccelli tropicali che col sorgere del sole esplodono in un concerto di suoni che sembrano appartenere più al mondo dell’elettronica che a quello della foresta. Durante la colazione, a base di frutti tanto sconosciuti quanto deliziosi, Gaba ci racconta del figlio e di sua moglie uccisi l’anno precedente dalle lance dei Tageira mentre cercavano di liberare il fiume dai detriti trasportati da un violento acquazzone. I Tageira sono uno dei quattro clan di origine Huaorani che, oltre a rifiutare ogni tipo di contatto con il mondo “civilizzato”, ripudiano tutti i clan della loro stessa etnia che accettano la presenza di stranieri nei loro territori. Ciò ha creato grandi contrasti interni, soprattutto dopo l’arrivo delle compagnie petrolifere che dagli anni Settanta hanno iniziato a espropriare i territori e inquinare la foresta. Oltre ai clan dei “non contattati” i Huaorani si dividono in altri due gruppi: il primo, il più numeroso, sono coloro che hanno accettato la presenza delle compagnie petrolifere e dei trafficanti colombiani di legna in cambio di quel “benessere” economico che non ha portato altro che alcol e disagio sociale. L’ultimo gruppo, una piccola minoranza, ha deciso di accettare il contatto con il mondo moderno ma di vivere mantenendo le proprie tradizioni. Questi ultimi, grazie anche al sostegno di organizzazioni non governative straniere, continuano a battersi in difesa dei loro territori contro lo sfruttamento e la devastazione della foresta da parte delle compagnie petrolifere.
Terminata la colazione mettiamo in acqua la canoa, salutiamo Gaba, e riprendiamo a navigare. Il fiume si snoda con la forma di un serpente contorto, costringendoci a percorrere quasi dieci volte la distanza calcolata in linea retta. Un piccolo nastro rosso sulla sponda destra del fiume indica che stiamo entrando nei territori dei “non contatti”. Da questo momento e per un paio d’ore, è vietato scendere a terra o comunque fermarsi. Il primo pensiero va al motore con l’augurio che non dia segni di cedimento. Raggiungiamo il punto dove in figlio di Gaba e sua moglie sono stati stati uccisi. Rallentiamo per zizzagare tra i tronchi. Ci guardiamo intorno con la sensazione di essere osservati da mille occhi. Probabilmente è così, ma si tratta solo degli occhi degli animali che si nascondono nel fitto della vegetazione. L’attraversamento dei territori dei “non contattati” sembra interminabile. Finalmente avvistiamo il secondo nastrino appeso a un tronco che sentenzia la fine della “zona rossa”.
È quasi sera e finalmente raggiungiamo Bameno. Al nostro arrivo riceviamo il benvenuto da parte di un gruppo di ragazzini che si tuffano in acqua incuranti della presenza di piragna, anaconde etc. Sbarchiamo e incontriamo i primi cacciatori guerrieri che mi salutano con il più solare dei sorrisi. Uno di loro mi offre un pezzo di pesce affumicato che sta portando da una capanna ad un’altra. Non rifiuto, non posso farlo, e un polposo pezzo di carne bianca ancora fumante passa direttamente dalle sue mani alle mie per finire in fondo al mio affamato stomaco.
Prima di raggiungere la capanna dove dormirò i prossimi giorni prendiamo una deviazione verso una costruzione dal tetto di paglia da dove esce una colonna fumo intensa e biancastra. Al suo interno stanno abbrustolendo un cinghiale selvatico che appare ancora completamente integro. È stato cacciato in mattinata da un gruppo di sei uomini che ora lo condividono con tutta la comunità. Poi ci spostiamo al lato opposto dell’“angolo cottura” per portare i nostri saluti al più anziano della famiglia, impegnato a intingere con una sostanza nera e densa le punte di un centinaio di bastoncini in legno simili a quelli usati preparare gli spiedini. Non si tratta però di utensili per servire il pasto ma di dardi da utilizzare per la caccia. La sostanza nera con la quale vengono intinte le punte è curaro, un paralizzante che uccide le prede senza avvelenarne la carne, lasciandole quindi commestibili. L’anziano scambia qualche parola in lingua locale con la mia guida rivolgendomi lo sguardo di tanto in tanto. Ci congediamo con grandi scambi di sorrisi e usciti dalla capanna la guida mi dice che sono invitato ad unirmi a un gruppo di uomini che domani mattina andrà in cerca di scimmie e tucani, armati delle loro cerbottane e dei dardi ormai pronti per la battuta di caccia.

 

Il momento dello scatto

Nella capanna c’era molto fumo e poca luce: tutto sembrava avere il colore seppia delle foglie secche che rivestivano le pareti. L’uomo era impegnato in un lavoro estremamente delicato e un errore da parte sua gli sarebbe risultato fatale. Per non disturbarlo e per rendere la mia presenza più discreta possibile mi abbassai e iniziai a muovermi lentamente attento alla luce e allo sfondo. Per fotografarlo mantenni le stesse impostazioni utilizzate per gli scatti realizzati in precedenza, quando avevo previsto condizioni di luce variabili. Lavorando a priorità di diaframmi impostai un’aperura a f 6,3 per avere un buon effetto sfocato nel caso di ritratti a focale lunga e al tempo stesso per poter contare su tempi dell’otturatore abbastanza veloci. Impostai la sensibilità (iso) in automatico per scongiurare l’effetto mosso. In questo modo avrei lavorato sempre al limite massimo qualitativo della sensibilità del sensore (più bassa è, meglio è). Impostai inoltre la compensazione dell’esposizione su -1 step per riproporre la luce scura della capanna. Grazie al sistema di stabilizzazione del sensore e dell’obiettivo decisi di non utilizzare il cavalletto, preferendo la possibilità di muovermi più liberamente. La quasi totale assenza del rumore di scatto offerta dalla mia mirrorless da poco acquistata mi permise di realizzare numerose foto senza essere percepito come elemento di disturbo.

 

Dati tecnici

Data: 11 Gennaio 2019
Corpo macchina: Nikon Z6
Obiettivo: Nikon Z 24/70 f4
Lunghezza focale al momento dello scatto: 27,5 mm.
Apertura diaframma: F6,3
Tempo otturatore: 1/30
Compensazione esposizione: -1
Sensibilità sensore: ISO auto 1.000
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)

 

Viaggia con Davide Pianezze: www.fattoreulisse.com