L’aereo giocattolo Antonov di Jayapura

Lascio il self service dove ho pranzato e rientro in hotel per preparare i borsoni da imbarcare. Nel bagaglio a mano ripongo l’attrezzatura fotografica che, dopo esser stata sottoposta alle peggiori intemperie delle ultime due settimane trascorse nelle paludi tropicali, necessita della dovuta revisione e pulizia. Mancano cinque ore alla partenza e l’idea di trascorrerle chiuso in una soffocante camera d’albergo non mi entusiasma. Purtroppo non sono particolarmente ispirato nemmeno dal quartiere che mi circonda: non fosse per la presenza di alcune casette anonime risulterebbe completamente disabitato. Dal momento in cui mi imbarcherò inizierò una maratona aerea di 48 ore, al termine della quale sarò, forse, finalmente tornato a casa. È ciò che accade quando programmi un viaggio (in questo caso Tailandia e Cambogia) e a due settimane dalla partenza lo stravolgi aggiungendo un’estensione di venti giorni in un altro Paese (in questo caso in Papua, dove mi trovo ora). Mi aspetta quindi una visita obbligatoria degli aeroporti di Jayapura – Giacarta – Bangkok – Pechino – e infine Milano.
Per distrarmi dal pensiero della sequenza interminabile dei voli decido di fare una passeggiata spensierata e priva di velleità fotografiche. Esco, chiudo la porta della camera, mi dirigo verso le scale e penso: “… e se là fuori ci fosse qualcosa di interessante da fotografare…? Ok, nel caso userò il cellulare”. Poi scendo le scale, passo davanti al desk, lascio le chiavi alla receptionist, che come sempre mi sorride senza dire una parola, e penso:”… e se invece mi ritrovassi di fronte a una situazione davvero particolare? No, impossibile, sono in mezzo al nulla, inoltre ho appena smontato e riordinato tutta l’attrezzatura fotografica per chiuderla nelle custodie e infilata nello zaino”. Esco dal portone dell’albergo e nel momento in cui lo lascio andare dietro di me, mi volto, lo afferro, rientro nella hall, strappo le chiavi dalle mani della receptionist, che naturalmente mi sorride senza dire una parola, risalgo le scale etc. fino a completare per l’ennesima volta quel rito che mi vede poco incline a rispettare i programmi che a volte tento di impormi.
Dopo aver collezionato il terzo sorriso muto consecutivo della receptionist, esco e mi dirigo verso l’aeroporto con la macchina fotografica a tracolla. La pista di decollo è delimitata da un lato dall’edificio principale, dove svetta la torre di controllo che sembra incastrata in una grande scatola da scarpe. Al lato opposto si vede un’esile recinzione metallica, poco rassicurante, che a tratti risulta completamente divelta. Cammino senza meta lungo una strada sterrata che fiancheggia la recinzione. Alla fine della pista, ai piedi di una collinetta che oltrepassa la recinzione, trovo alcune biciclette abbandonate che mi fanno pensare di non essere totalmente solo come credevo. Risalita la collinetta mi ritrovo letteralmente sulle piste dell’aeroporto. Di fronte a un imponente Antonov AN – 12 (aereo cargo russo) arrugginito e ricoperto di scritte. Le sue immense ali, che un tempo gli permettevano di sollevarsi da terra, si sono trasformate in una palestra per ragazzini e le quattro eliche sono ora la giostra dei più grandi che si sfidano facendole girare. La presenza della mia voluminosa macchina fotografica scatena l’entusiasmo e la vanità di tutti i presenti che si muovono e si agitano come fossero formiche operaie. Corrono, si arrampicano e saltano (pericolosamente) dalla carlinga alla cabina di pilotaggio e dai carrelli alla coda. Il sole si abbassa e la luce diventa sempre più radente e calda. Poi dalla pista di avvicinamento, parallela a quella del decollo, giunge il rumore scoppiettante di uno scooter. Alla guida c’è un uomo in divisa seguito a un centinaio di metri da un Boing 737 che, visto dalla mia posizione, sembra prossimo ad investirlo. L’uomo si avvicina a noi, si ferma, dà una rapida occhiata intorno a sé, poi estrae una bandiera e segnala il via libera al comandante. Tutti i ragazzini si alzano, si immobilizzano e trattengono il fiato. Il Boing inverte la sua direzione, si sposta sulla pista di decollo, e si ferma. Il rombo dei motori cresce fino a diventare assordante, poi il comandante lascia i freni e dopo alcuni istanti l’aereo si solleva dalla pista tra i salti e le urla dei ragazzini che molto probabilmente sognano di poter volare un giorno come passeggeri o magari come piloti. Intanto anche l’uomo in divisa e il suo scooter prendono la direzione dell’aereo e spariscono all’orizzonte.
Al check-in mi è stato assegnato il posto 23 A, lato finestrino. Fuori è buio, ma la pista ben illuminata mi permette di guardarmi intorno. L’aereo inizia a retrocedere, non posso fare a meno di pensare all’uomo in divisa che tra poco ci precederà nelle manovre, per andare a controllare che i ragazzini del cargo russo si mantengano a debita distanza. Siamo in fondo alla pista di avvicinamento, iniziamo l’inversione di marcia e per qualche istante vedo dal finestrino l’Antonov e i ragazzini che aspettano l’ultimo aereo della giornata. Motori al massimo, rollio e decollo. Immagino le urla felici e ormai lontane di chi sta sognano di volare.

Il momento dello scatto

Vedere quel cargo arrugginito, brulicante di bambini, fu davvero un regalo inaspettato. Inizialmente nessuno si accorse della mia presenza, poi quando mi videro si misero a ridere a ad atteggiarsi. Ma l’interesse nei miei confronti svanì presto e tutti tornarono a giocare spensieratamente. Io iniziai a muovermi dal basso, nei pressi delle ali, per dare alla scena lo sfondo del cielo e evidenziare la dimensione dell’aereo e delle sue eliche. Trovata la composizione che mi interessava, con un’elica in primo piano e l’ala che tracciava una diagonale, aspettai pazientemente che i ragazzini componessero la scena, stando attento alle loro espressioni e ai loro spostamenti. Volevo che l’immagine risultasse nitida e ben dettagliata, così chiusi il diaframma a f13. Per avere un tempo dell’otturatore sufficientemente veloce, in modo da ottenere un’immagine priva di effetto mosso, dovetti portare la sensibilità a 800 ISO in quanto non c’era molta luce. Impostai la modalità A (priorità di diaframmi) per non dovermi preoccupare della luce che variava continuamente a causa della velatura a strati del cielo.
Assicurati una decina di scatti mi spostai in cerca di inquadrature alternative, andando anche al lato opposto dell’aereo, quindi in controluce, per riprendere il cielo che iniziava ad assumere colazioni più calde.
Dal punto di vista della fotografia ricordo quei momenti come tra i più entusiasmanti dell’intero viaggio, forse anche perché totalmente inaspettati. Purtroppo tra le tante conseguenze della globalizzazione, l’effetto sorpresa per i viaggiatori è uno degli aspetti che verranno sempre più tristemente a mancare; basta aprire un browser, digitare il nome di un luogo, cliccare su “cerca immagini” e la magia della scoperta è svanita per sempre.

 

Dati tecnici

Data: 21 Gennaio 2016
Corpo macchina: Nikon D3s
Obiettivo: Nikon 17/35 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 24 mm.
Apertura diaframma: F13
Tempo otturatore: 1/100
Compensazione esposizione: + 03
Sensibilità sensore: ISO 800
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)

 

Viaggia con Davide Pianezze: www.fattoreulisse.com